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Orario Sante Messe

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA 54a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE - 1° GENNAIO 2021

LA CULTURA DELLA CURA COME PERCORSO DI PACE

1. Alle soglie del nuovo anno, desidero porgere i miei più rispettosi saluti ai Capi di Stato e di Governo, ai responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai leader spirituali e ai fedeli delle varie religioni, agli uomini e alle donne di buona volontà. A tutti rivolgo i miei migliori auguri, affinché quest’anno possa far progredire l’umanità sulla via della fraternità, della giustizia e della pace fra le persone, le comunità, i popoli e gli Stati.

Il 2020 è stato segnato dalla grande crisi sanitaria del Covid-19, trasformatasi in un fenomeno multisettoriale e globale, aggravando crisi tra loro fortemente interrelate, come quelle climatica, alimentare, economica e migratoria, e provocando pesanti sofferenze e disagi. Penso anzitutto a coloro che hanno perso un familiare o una persona cara, ma anche a quanti sono rimasti senza lavoro. Un ricordo speciale va ai medici, agli infermieri, ai farmacisti, ai ricercatori, ai volontari, ai cappellani e al personale di ospedali e centri sanitari, che si sono prodigati e continuano a farlo, con grandi fatiche e sacrifici, al punto che alcuni di loro sono morti nel tentativo di essere accanto ai malati, di alleviarne le sofferenze o salvarne la vita. Nel rendere omaggio a queste persone, rinnovo l’appello ai responsabili politici e al settore privato affinché adottino le misure adeguate a garantire l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e alle tecnologie essenziali necessarie per assistere i malati e tutti coloro che sono più poveri e più fragili.[1]

Duole constatare che, accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà, prendono purtroppo nuovo slancio diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti che seminano morte e distruzione.

Questi e altri eventi, che hanno segnato il cammino dell’umanità nell’anno trascorso, ci insegnano l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza. Perciò ho scelto come tema di questo messaggio: La cultura della cura come percorso di pace. Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente.

2. Dio Creatore, origine della vocazione umana alla cura

In molte tradizioni religiose, vi sono narrazioni che si riferiscono all’origine dell’uomo, al suo rapporto con il Creatore, con la natura e con i suoi simili. Nella Bibbia, il Libro della Genesi rivela, fin dal principio, l’importanza della cura o del custodire nel progetto di Dio per l’umanità, mettendo in luce il rapporto tra l’uomo (’adam) e la terra (’adamah) e tra i fratelli. Nel racconto biblico della creazione, Dio affida il giardino “piantato nell’Eden” (cfr Gen 2,8) alle mani di Adamo con l’incarico di “coltivarlo e custodirlo” (cfr Gen 2,15). Ciò significa, da una parte, rendere la terra produttiva e, dall’altra, proteggerla e farle conservare la sua capacità di sostenere la vita.[2] I verbi “coltivare” e “custodire” descrivono il rapporto di Adamo con la sua casa-giardino e indicano pure la fiducia che Dio ripone in lui facendolo signore e custode dell’intera creazione.

La nascita di Caino e Abele genera una storia di fratelli, il rapporto tra i quali sarà interpretato – negativamente – da Caino in termini di tutela o custodia. Dopo aver ucciso suo fratello Abele, Caino risponde così alla domanda di Dio: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).[3] Sì, certamente! Caino è il “custode” di suo fratello. «In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri».[4]

3. Dio Creatore, modello della cura

La Sacra Scrittura presenta Dio, oltre che come Creatore, come Colui che si prende cura delle sue creature, in particolare di Adamo, di Eva e dei loro figli. Lo stesso Caino, benché su di lui ricada la maledizione a motivo del crimine che ha compiuto, riceve in dono dal Creatore un segno di protezione, affinché la sua vita sia salvaguardata (cfr Gen 4,15). Questo fatto, mentre conferma la dignità inviolabile della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, manifesta anche il piano divino per preservare l’armonia della creazione, perché «la pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora».[5]

Proprio la cura del creato è alla base dell’istituzione dello Shabbat che, oltre a regolare il culto divino, mirava a ristabilire l’ordine sociale e l’attenzione per i poveri (Gen 1,1-3; Lv 25,4). La celebrazione del Giubileo, nella ricorrenza del settimo anno sabbatico, consentiva una tregua alla terra, agli schiavi e agli indebitati. In questo anno di grazia, ci si prendeva cura dei più fragili, offrendo loro una nuova prospettiva di vita, così che non vi fosse alcun bisognoso nel popolo (cfr Dt 15,4).

Degna di nota è anche la tradizione profetica, dove il vertice della comprensione biblica della giustizia si manifesta nel modo in cui una comunità tratta i più deboli al proprio interno. È per questo che Amos (2,6-8; 8) e Isaia (58), in particolare, alzano continuamente la loro voce a favore della giustizia per i poveri, i quali, per la loro vulnerabilità e mancanza di potere, sono ascoltati solo da Dio, che si prende cura di loro (cfr Sal 34,7; 113,7-8).

4. La cura nel ministero di Gesù

La vita e il ministero di Gesù incarnano l’apice della rivelazione dell’amore del Padre per l’umanità (Gv 3,16). Nella sinagoga di Nazaret, Gesù si è manifestato come Colui che il Signore ha consacrato e «mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Queste azioni messianiche, tipiche dei giubilei, costituiscono la testimonianza più eloquente della missione affidatagli dal Padre. Nella sua compassione, Cristo si avvicina ai malati nel corpo e nello spirito e li guarisce; perdona i peccatori e dona loro una vita nuova. Gesù è il Buon Pastore che si prende cura delle pecore (cfr Gv 10,11-18; Ez 34,1-31); è il Buon Samaritano che si china sull’uomo ferito, medica le sue piaghe e si prende cura di lui (cfr Lc 10,30-37).

Al culmine della sua missione, Gesù suggella la sua cura per noi offrendosi sulla croce e liberandoci così dalla schiavitù del peccato e della morte. Così, con il dono della sua vita e il suo sacrificio, Egli ci ha aperto la via dell’amore e dice a ciascuno: “Seguimi. Anche tu fa’ così” (cfr Lc 10,37).

5. La cultura della cura nella vita dei seguaci di Gesù

Le opere di misericordia spirituale e corporale costituiscono il nucleo del servizio di carità della Chiesa primitiva. I cristiani della prima generazione praticavano la condivisione perché nessuno tra loro fosse bisognoso (cfr At 4,34-35) e si sforzavano di rendere la comunità una casa accogliente, aperta ad ogni situazione umana, disposta a farsi carico dei più fragili. Divenne così abituale fare offerte volontarie per sfamare i poveri, seppellire i morti e nutrire gli orfani, gli anziani e le vittime di disastri, come i naufraghi. E quando, in periodi successivi, la generosità dei cristiani perse un po’ di slancio, alcuni Padri della Chiesa insistettero sul fatto che la proprietà è intesa da Dio per il bene comune. Ambrogio sosteneva che «la natura ha riversato tutte le cose per gli uomini per uso comune. [...] Pertanto, la natura ha prodotto un diritto comune per tutti, ma l’avidità lo ha reso un diritto per pochi».[6] Superate le persecuzioni dei primi secoli, la Chiesa ha approfittato della libertà per ispirare la società e la sua cultura. «La miseria dei tempi suscitò nuove forze al servizio della charitas christiana. La storia ricorda numerose opere di beneficenza. […] Furono eretti numerosi istituti a sollievo dell’umanità sofferente: ospedali, ricoveri per i poveri, orfanotrofi e brefotrofi, ospizi, ecc.».[7]

6. I principi della dottrina sociale della Chiesa come base della cultura della cura

La diakonia delle origini, arricchita dalla riflessione dei Padri e animata, attraverso i secoli, dalla carità operosa di tanti testimoni luminosi della fede, è diventata il cuore pulsante della dottrina sociale della Chiesa, offrendosi a tutte le persone di buona volontà come un prezioso patrimonio di principi, criteri e indicazioni, da cui attingere la “grammatica” della cura: la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato.

* La cura come promozione della dignità e dei diritti della persona.

«Il concetto di persona, nato e maturato nel cristianesimo, aiuta a perseguire uno sviluppo pienamente umano. Perché persona dice sempre relazione, non individualismo, afferma l’inclusione e non l’esclusione, la dignità unica e inviolabile e non lo sfruttamento».[8] Ogni persona umana è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità. È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro «prossimo, vicino o lontano nel tempo e nello spazio».[9]

* La cura del bene comune.

Ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica trova il suo compimento quando si pone al servizio del bene comune, ossia dell’«insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente».[10] Pertanto, i nostri piani e sforzi devono sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana, ponderando le conseguenze per il momento presente e per le generazioni future. Quanto ciò sia vero e attuale ce lo mostra la pandemia del Covid-19, davanti alla quale «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme»[11], perché «nessuno si salva da solo»[12] e nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione.[13]

* La cura mediante la solidarietà.

La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, non come un sentimento vago, ma come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti».[14] La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro – sia come persona sia, in senso lato, come popolo o nazione – non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita a cui tutti sono ugualmente invitati da Dio.

* La cura e la salvaguardia del creato.

L’Enciclica Laudato si’ prende atto pienamente dell’interconnessione di tutta la realtà creata e pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del creato. Da questo ascolto attento e costante può nascere un’efficace cura della terra, nostra casa comune, e dei poveri. A questo proposito, desidero ribadire che «non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani».[15] «Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo».[16]

7. La bussola per una rotta comune

In un tempo dominato dalla cultura dello scarto, di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze all’interno delle Nazioni e fra di esse,[17] vorrei dunque invitare i responsabili delle Organizzazioni internazionali e dei Governi, del mondo economico e di quello scientifico, della comunicazione sociale e delle istituzioni educative a prendere in mano questa “bussola” dei principi sopra ricordati, per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, «una rotta veramente umana».[18] Questa, infatti, consentirebbe di apprezzare il valore e la dignità di ogni persona, di agire insieme e in solidarietà per il bene comune, sollevando quanti soffrono dalla povertà, dalla malattia, dalla schiavitù, dalla discriminazione e dai conflitti. Mediante questa bussola, incoraggio tutti a diventare profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare tante disuguaglianze sociali. E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale.

La bussola dei principi sociali, necessaria a promuovere la cultura della cura, è indicativa anche per le relazioni tra le Nazioni, che dovrebbero essere ispirate alla fratellanza, al rispetto reciproco, alla solidarietà e all’osservanza del diritto internazionale. A tale proposito, vanno ribadite la tutela e la promozione dei diritti umani fondamentali, che sono inalienabili, universali e indivisibili.[19]

Va richiamato anche il rispetto del diritto umanitario, soprattutto in questa fase in cui conflitti e guerre si susseguono senza interruzione. Purtroppo molte regioni e comunità hanno smesso di ricordare un tempo in cui vivevano in pace e sicurezza. Numerose città sono diventate come epicentri dell’insicurezza: i loro abitanti lottano per mantenere i loro ritmi normali, perché vengono attaccati e bombardati indiscriminatamente da esplosivi, artiglieria e armi leggere. I bambini non possono studiare. Uomini e donne non possono lavorare per mantenere le famiglie. La carestia attecchisce dove un tempo era sconosciuta. Le persone sono costrette a fuggire, lasciando dietro di sé non solo le proprie case, ma anche la storia familiare e le radici culturali.

Le cause di conflitto sono tante, ma il risultato è sempre lo stesso: distruzione e crisi umanitaria. Dobbiamo fermarci e chiederci: cosa ha portato alla normalizzazione del conflitto nel mondo? E, soprattutto, come convertire il nostro cuore e cambiare la nostra mentalità per cercare veramente la pace nella solidarietà e nella fraternità?

Quanta dispersione di risorse vi è per le armi, in particolare per quelle nucleari,[20] risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari. Anche questo, d’altronde, è messo in luce da problemi globali come l’attuale pandemia da Covid-19 e dai cambiamenti climatici. Che decisione coraggiosa sarebbe quella di «costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri»![21]

8. Per educare alla cultura della cura

La promozione della cultura della cura richiede un processo educativo e la bussola dei principi sociali costituisce, a tale scopo, uno strumento affidabile per vari contesti tra loro correlati. Vorrei fornire al riguardo alcuni esempi.

- L’educazione alla cura nasce nella famiglia, nucleo naturale e fondamentale della società,dove s’impara a vivere in relazione e nel rispetto reciproco. Tuttavia, la famiglia ha bisogno di essere posta nelle condizioni per poter adempiere questo compito vitale e indispensabile.

- Sempre in collaborazione con la famiglia, altri soggetti preposti all’educazione sono la scuola e l’università, e analogamente, per certi aspetti, i soggetti della comunicazione sociale.[22] Essi sono chiamati a veicolare un sistema di valori fondato sul riconoscimento della dignità di ogni persona, di ogni comunità linguistica, etnica e religiosa, di ogni popolo e dei diritti fondamentali che ne derivano. L’educazione costituisce uno dei pilastri di società più giuste e solidali.

- Le religioni in generale, e i leader religiosi in particolare, possono svolgere un ruolo insostituibile nel trasmettere ai fedeli e alla società i valori della solidarietà, del rispetto delle differenze, dell’accoglienza e della cura dei fratelli più fragili. Ricordo, a tale proposito, le parole del Papa Paolo VI rivolte al Parlamento ugandese nel 1969: «Non temete la Chiesa; essa vi onora, vi educa cittadini onesti e leali, non fomenta rivalità e divisioni, cerca di promuovere la sana libertà, la giustizia sociale, la pace; se essa ha qualche preferenza, questa è per i poveri, per l’educazione dei piccoli e del popolo, per la cura dei sofferenti e dei derelitti».[23]

- A quanti sono impegnati al servizio delle popolazioni, nelle organizzazioni internazionali, governative e non governative, aventi una missione educativa, e a tutti coloro che, a vario titolo, operano nel campo dell’educazione e della ricerca, rinnovo il mio incoraggiamento, affinché si possa giungere al traguardo di un’educazione «più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, di dialogo costruttivo e di mutua comprensione».[24] Mi auguro che questo invito, rivolto nell’ambito del Patto educativo globale, possa trovare ampia e variegata adesione.

9. Non c’è pace senza la cultura della cura

La cultura della cura, quale impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace. «In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia».[25]

In questo tempo, nel quale la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi, procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, il timone della dignità della persona umana e la “bussola” dei principi sociali fondamentali ci possono permettere di navigare con una rotta sicura e comune. Come cristiani, teniamo lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, Stella del mare e Madre della speranza. Tutti insieme collaboriamo per avanzare verso un nuovo orizzonte di amore e di pace, di fraternità e di solidarietà, di sostegno vicendevole e di accoglienza reciproca. Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli, non abituiamoci a voltare lo sguardo,[26] ma impegniamoci ogni giorno concretamente per «formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri».[27]


Dal Vaticano, 8 dicembre 2020
Francesco


[1] Cfr Videomessaggio in occasione della 75ª Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 25 settembre 2020.

[2] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 67.

[3] Cfr “Fraternità, fondamento e via per la pace”, Messaggio per la celebrazione della 47ª Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2014 (8 dicembre 2013), 2.

[4] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 70.

[5] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 488.

[6] De officiis, 1, 28, 132: PL 16, 67.

[7] K. BIHLMEYER - H. TÜCHLE, Storia della Chiesa, vol. I L’antichità cristiana, Morcelliana, Brescia 1994, 447.448.
[8] Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale nel 50° anniversario della “Populorum progressio” (4 aprile 2017).
[9] Messaggio alla 22ª sessione della Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP22), 10 novembre 2016. Cfr Tavolo interdicasteriale della Santa Sede sull’ecologia integrale, In cammino per la cura della casa comune. A cinque anni dalla Laudato si’, LEV, 31 maggio 2020.
[10] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26.
[11] Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020.
[12] Ibid.
[13] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 8; 153.
[14] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 38.
[15] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 91.
[16] Conferenza dell’Episcopato Dominicano, Lett. past. Sobre la relación del hombre con la naturaleza (21 gennaio 1987); cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 92.
[17] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 125.
[18] Ibid., 29.
[19] Cfr Messaggio ai partecipanti alla Conferenza internazionale “I diritti umani nel mondo contemporaneo: conquiste, omissioni, negazioni”, Roma, 10-11 dicembre 2018.
[20] Cfr Messaggio alla Conferenza dell’ONU finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, che conduca alla loro totale eliminazione, 23 marzo 2017.
[21] Videomessaggio in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020, 16 ottobre 2020.
[22] Cfr Benedetto XVI, “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”, Messaggio per la 45ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2012 (8 dicembre 2011), 2; “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”, Messaggio per la 49ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2016 (8 dicembre 2015), 6.
[23] Discorso ai Deputati e ai Senatori dell’Uganda, Kampala, 1° agosto 1969.
[24] Messaggio per il lancio del Patto Educativo, 12 settembre 2019: L’Osservatore Romano, 13 settembre 2019, p. 8.
[25] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 225.
[26] Cfr ibid., 64.
[27] Ibid., 96; cfr “Fraternità, fondamento e via per la pace”, Messaggio per la celebrazione della 47ª Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2014 (8 dicembre 2013), 1.

Comunicazioni del Vescovo sulle celebrazioni natalizie e il Rosario nella Solennità dell'Immacolata

 

Carissimi fratelli e sorelle,desidero riprendere due comunicazioni offerte dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana svoltosi il 1° dicembre u.s.

Celebrazioni  natalizie. Suggerisco ai Parroci: «Tenuto conto delle diverse situazioni... di “orientare” i fedeli a una presenza ben distribuita, ricordando la ricchezza della liturgia per il Natale che offre diverse possibilità: Messa  vespertina nella vigilia, nella notte, dell'aurora e del giorno. Per la Messa nella notte sarà necessario prevedere l'inizio e la durata della celebrazione in un orario compatibile con il cosiddetto "coprifuoco"». Considerando che il coprifuoco scatta alle ore 22.00 l'ultimo orario utile per la Messa nella notte è quello delle ore 20.00. Nei mesi scorsi «è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Da qui la  certezza che sarà così anche per le celebrazioni del Natale, come peraltro avvenuto finora».

Rosario nella Solennità dell'Immacolata. Proponiamoa tutti di unirsi l'8 dicembre prossimo alle ore 21.00 alla  «preghiera del Santo Rosario, trasmessa in  diretta,  alle  ore  21,  da Tv2000  e  InBlu  Radio,  da  una  chiesa  di  Roma. In un tempo segnato in modo evidente dagli effetti della pandemia, la comunità italiana chiederà l'intercessione della Vergine Maria, Colei che ha custodito nel suo cuore ogni cosa e ha saputo abbandonarsi con fiducia all'abbraccio del Padre. A Lei – che come ha ricordato Papa Francesco è la “piena di grazia” che può “riflettere fin dentro le tenebre più fitte un raggio della luce di Cristo Risorto” – verranno affidate, in particolare, le donne e le mamme, pilastri nelle famiglie e grembo di futuro».

Alla luce della pubblicazione del DPCM del 3 dicembre 2020, ricordo innanzitutto che nulla è mutato per quanto riguarda la celebrazione della Santa Messa e degli altri Sacramenti. Restano in vigore le norme igienico-sanitarie precedentemente date che vanno scrupolosamente rispettate. Per prudenza mantengo ancora sospesa la  celebrazione delle Cresime e delle Prime Comunioni. Sempre per prudenza restano sospesi gli incontri in presenza dei consigli diocesani e parrocchiali, dei corsi di preparazione al Matrimonio, dei ritiri spirituali, della formazione del clero e dei religiosi, comprese le riunioni di zona di sacerdoti e diaconi, dei  cammini delle aggregazioni laicali. Quando possibile, tali incontri possono essere opportunamente proposti in modalità a distanza.

Per la catechesi dell'iniziazione cristiana rimando alla circolare del 5 novembre u.s. in cui ricordavo come fosse importante non perdere i contatti con i ragazzi e le loro famiglie. Occorre tuttavia valutare con estrema prudenza se esistano le condizioni necessarie per attuare la catechesi in presenza, utilizzando comunque spazi più ampi e adeguati come ad esempio la chiesa. Può essere opportunamente proposta la catechesi a distanza, coinvolgendo anche le famiglie. Ricordiamo comunque che l'Eucaristia festiva è il momento centrale di incontro e può essere preceduto o seguito da un breve momento di catechesi opportunamente preparato.

Nell'augurare a tutte le comunità e a ciascuno un buon cammino di Avvento, Vi invito a pregare con intensità in particolare per gli ammalati, le persone sole e in difficoltà e per coloro che se ne prendono cura a livello sanitario e sociale. Invochiamo l'intercessione di Maria Santissima, Regina della Valle d'Aosta.

 

Aosta, 5 dicembre 2020

firma

Lettera del Vescovo ai Sacerdoti e ai Fedeli della Diocesi di Aosta
in occasione della terza edizione italiana del Messale Romano

   

    Carissimi fratelli e sorelle, con la  prima Domenica di Avvento le nostre comunità iniziano a usare per la celebrazione dell’Eucaristia la terza edizione italiana del Messale Romano. Essa comporta  alcune  traduzioni nuove rispetto ai testi ai quali siamo abituati. Dovremo imparare le poche formule comunitarie modificate (Confesso, Gloriae Padre nostro) per pregare tutti insieme in maniera armoniosa.

    Da  parte  mia, vorrei consegnarvi il  Messale come  invito  a riscoprire  la bellezza della  Santa Messa e a parteciparvi con intensità di fede ogni  domenica e anche  nei  giorni  feriali, quando possibile. L’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa, il centro della vita di ogni cristiano  e  di ogni  famiglia  cristiana, perché è il dono della Sua presenza che Cristo ci ha lasciato in eredità. Si tratta di una presenza viva: Cristo parla e illumina il nostro cammino, si offre in sacrificio al Padre per noi, ci dona il Suo Spirito. Nell’Eucaristia si consuma l’incontro che muove tutta la vita di fede: «Ciascuno  di  noi  riceve  Cristo... Cristo  riceve  ciascuno  di  noi»  perché  ognuno  possa  diventare dono per gli altri (San Giovanni Paolo II). Per questo motivo i cristiani sono disposti a rinunciare a tutto, ma non all’Eucaristia, come dimostra una lunga schiera di martirie confessori della fede tra i quali va ricordato François-Xavier Nguyen Van Thuan, vescovo vietnamita che trascorse 13 anni in carcere per la fede e che continuò a celebrare l’Eucaristia in condizioni inimmaginabilie rischiando ogni volta la vita.

    Il Messale non èun libro per addetti ai lavori e non è riservato ai sacerdoti: È libro per tutti, libro della  comunità: formula, guida e ordina la grande preghiera della Chiesa che raccoglie ed eleva a Dio la preghiera di tuttii fedeli.

    Provo a ricordare alcune caratteristiche del Messale come indicazione per una sua corretta recezione.

    Innanzitutto è un libro ricevuto. Il Messale custodisce la fede creduta, celebrata e vissuta dalla Chiesa, raccogliendo una storia di preghiera che, come un filo rosso, ci congiunge con la primitiva comunità apostolica, con la prima celebrazione eucaristica. In questo senso il Messale ci ricorda che la  forma  del  viverecristiano  ci  precede  sempre  perché  è  dono  diDio  in  Gesù  Cristo  attraverso  la Chiesa. Questa precedenza suscitain noi gratitudine e ci apre alla comunione universale.

    È  un libro per l’azione liturgica.  Il  Messale non è solo un prontuario di testi ad uso di presidente e assemblea, ma una vera e propria guida alla celebrazione che coordinaparole e gesti, coinvolgendo in modo coerente tutti i presenti. Così nel Messale, accanto ai testi da proclamare, hanno dignità e  importanza  anche le notazioni musicali e le indicazioni (rubriche) che regolano la preghiera dell’assemblea, valorizzando tutte le forme di linguaggio previste dalla Liturgia (parola e canto, gesti e silenzi, movimento del  corpo,  colori, musiche, profumi,  luci).  La  Liturgia  infatti possiede una varietà di registri comunicativi che mirano a mettere in gioco tutta la persona, corpo e spirito, intelligenza ed emotività, interiorità e relazioni.

    È un libro sigillato e aperto al tempo stesso. Il Messale non può essere cambiato arbitrariamente; chiede ad ogni comunità di accoglierlo e di usarlo mediando tra il mistero celebrato e l’assemblea concreta con le sue particolarità e le situazioni che di volta in volta si susseguono. La Liturgia eucaristica è come la  musica: il Messale ci offre la partitura che non può essere alterata, l’azione celebrativa ci dona l’originalità di ogni esecuzione.

    Vorrei  concludere richiamando due principi  della riforma liturgica voluta dal  Vaticano II (Sacrosanctum  Concilium). Il  primo è quello della fedeltà alla  «sana  tradizione» che ci invita ad essere attenti al modello rituale, unitario e condiviso, che il Messale ci propone e che permette alle singole assemblee eucaristiche di  manifestare l’unità  della  Chiesa  orante,  specchio e  grembo dell’unità nella fede e nella carità. Dobbiamo  vincere «la  superficiale  propensione  a  costruirsi  una liturgia a propria  misura, ignorando le norme  liturgiche» cosa che «non solo pregiudica la verità della celebrazione ma arreca una ferita alla comunione ecclesiale» (Presentazione CEI). Il secondo principio è quello della «nobile semplicità» che chiede preparazione e accuratezza in tutti i passaggi della celebrazione per vivere una liturgia seria, semplice e bella che sia veicolo del mistero, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini e capace di farlo toccando tutte le corde  dei convocati, razionalità, affettività e corporeità.

    L’augurio è che  tutti,  fedeli, sacerdoti  e  diaconi,  frequentiamo un po’ di  più le pagine del Messale affinché «riscopriamo insieme la bellezza e la forza del  celebrare cristiano, impariamo il suo linguaggio - gesti e  parole - senza  appiattirlo importando con superficialità i linguaggi del mondo. Lasciamoci plasmare dai gesti  e dai “santi  segni” della  celebrazione» (Messaggio dei Vescovi italiani).

    Colgo l’occasione per augurare a tutti un buon cammino d’Avvento e per invocare su di voi la benedizione del Signore.

 

     Aosta, 22novembre 2020
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo